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Il Corriere della Sera

Luigi Barzini

Tra le salde difese di Bengasi

Dal combattuto sbarco al tranquillo possesso.

12 marzo 1912 -Anno 37- Num. 72, pp 3

L’articolo è datato "8 marzo" e il "Corriere" lo pubblica il 12, lo stesso giorno in cui si svolge la cosiddetta battaglia delle Due palme, poi raccontata da Barzini sul "Corriere" del 16 e del 17 marzo.L’assunto dell’articolo è quello di dimostrare come la conquista di Bengasi, frutto di un’azione " energica rapida ardita", "dimostrazione di potenza e di valore" ha segnato l’inizio di una conquista non solo militare, ma anche "morale" del paese. A tale scopo, Barzini ripercorre le tappe della conquista del territorio di Bengasi, a partire dal 19-20 ottobre, con la successiva presa della Giuliana, della Berca e di Sidi-Duad. L’articolo è organizzato per flashes, scanditi dai titoletti dei paragrafi: "L’azione garibaldina"; "Il bombardamento"; "Situazione critica"; "Arditissima mossa";"La popolazione ostile"; "Sentinelle chimiche"; "La conquista dei pozzi"; "L’unico attacco diurno". Di volta in volta, Barzini mette in luce particolari "forse poco noti", e con il ricorso all’imperfetto narrativo, ad ellissi e colpi di scena, vivacizza un racconto già noto, nelle sue linee essenziali, al pubblico dei lettori: "le orde beduine si avvicinavano a Bengasi" "si avevano pure indizi […] che gli ufficiali turchi rimasti a Bengasi avrebbero preparato un sollevamento della città. Di ciplo la situazione della nostra piccola vittoriosa spedizione diveniva serissima", "come i bersaglieri a Sciara-Sciat […] anche qui i nostri fantaccini venivano presi fra due fuochi, ed erano le fucilate alle spalle che facevano più vittime". "Si sentiva che la città non era nelle nostre mani". Descritti così i combattimenti del 19 e 20 ottobre, il disarmo della città del 21 e le proscrizioni del 22, saggiamente limitate ai soli arabi che "non potevano giustificare la loro presenza in città" e che costituivano "elemento incontrollabile e turbolento", Barzini procede a sintetizzare le fasi costruttive del sistema fortificato intorno a Bengasi, procedute con "meravigliosa" rapidità: "al primo giorno di lavoro una ridotta è già in istato di difesa. Ha sul fronte parapetti alti quanto basta a far fuoco stando in ginocchio" "al secondo giorno, ai parapetti del fronte si può stare in piedi" "al terzo si comincia la costruzione delle casematte e delle gallerie coperte.[…]. Nei giorni successivi la ridotta si arricchisce di baraccamenti, di cucine, di impianti di campanelli d’allarme, acquista nuove difese ausiliarie, segnalazioni automatiche, ed è perfetta. Ora si va anche più in là: si fanno ridotte in muratura e blockhouses in acciaio". Sono appunto questi ultimi ad essere oggetto degli assalti notturni dei beduini, di "audacia inverosimile". Un argomento a sé, poi, è costituito dal problema dell’acqua: Barzini racconta di pozzi di acqua "magnifica, limpida, fresca" nell’oasi di Foyat, ma anche di "ricchi pozzi" a Sabri, "bizzarri pozzi scavati in una sabbia che sembra la più arida del mondo in mezzo a strani palmizi contratti. Chi vuole acqua scava il suo pozzo; è affare di pochi minuti, si può scavare anche con le mani, l’acqua è a mezzo metro dal suolo. Dopo qualche ora il pozzo s’intorbida e bisogna scavarne un altro." A questi pozzi l’esercito attingeva l’acqua di giorno,mentre di notte era il nemico a usare l’acqua. Ora si sono costruite delle ridotte vicino alle oasi per difendere questi pozzi e impedirne l’accesso agli arabi. Contrariamente al solito, in fine, Barzini, in questo articolo, insiste anche su particolari macabri della guerra: i cadaveri degli arabi " impigliati nei reticolati come insetti giganteschi in immense ragnatele di ragno", le baionette "contorte, imbrattate del sangue" dei nemici che su quelle lame erano letteralmente "caduti" in massa, l’arabo £disteso bocconi […] avvolto da fiammate" "il cui cadavere vennetrovato annerito, ignudo, con le braccia squarciate", l’oasi insanguinata di Foyat, la tempesta di piombo che, il giorno di Natale, fa strage di nemici , raffigurati come "un formicaio nel quale sia caduto un fiammifero acceso". L’articolo si conclude con l’apprezzamento per il completamento della linea di difesa verso la Giuliana e con una chiosa sulla nomenclatura nuova e certe volte curiosa entrata nelle carte topografiche, quando sorge la necessità di "chiamare in qualche modo luoghi dei quali non era proprio possibile domandare il nome. In quel momentoo chi avrebbe potuto dircelo stava dall’altra parte".

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